L’alimentazione è un aspetto fondamentale dello sviluppo del bambino. Nelle fasi di allattamento, svezzamento e alimentazione autonoma il bambino acquisisce le abilità di interazione sociale e autoregolazione, ed inizia a sperimentare la propria autonomia. In questi periodi si possono presentare alcune difficoltà, che nella maggior parte dei casi vanno a risolversi; tuttavia in altri casi tali problematiche possono essere dei precursori di disturbi alimentari.
Con lo svezzamento possono iniziare i primi problemi, ma bisogna comprendere che il bambino impara piano piano a conoscere e scoprire nuove consistenze, nuovi sapori e soprattutto non si nutre più solo tramite il seno della mamma o il biberon ma sta seduto da solo nel seggiolone, guarda i genitori, deve utilizzare un cucchiaino. Tutti questi cambiamenti, anche se per un adulto sono scontati non lo sono per un bambino, a cui bisogna dare il tempo di adattarsi alle novità.
Verso i 2 anni, così come il bambino inizia a definire la sua identità diventando oppositivo, usando spesso il “no” e con altre manifestazioni che i genitori conoscono molto bene, esprime questo scatto di sviluppo anche nel rapporto con il cibo. Spesso quindi quello che si interpreta come un capriccio è in realtà una fase di crescita del tutto normale: il bambino comincia ad essere consapevole di se stesso e costruisce la sua identità affermando la sua presenza nel mondo anche attraverso l’opposizione a mangiare determinati cibi e volendo decidere in autonomia di cosa nutrirsi.
Dobbiamo anche considerare che la neofobia (la paura per i cibi non familiari che non vengono considerati sicuri ed elicitano una risposta di disgusto o un rifiuto), ha un valore adattivo, perché protegge il bambino dall’assunzione di cibi tossici durante l’esplorazione. La diffidenza verso le novità alimentari quindi è stata funzionale alla sopravvivenza per i nostri avi, e come specie utilizziamo ancora questo comportamento.
Di solito la fase della neofobia termina entro il terzo anno, ma in alcuni bambini può prolungarsi anche fino ai 5 anni. Tuttavia altri possono presentare atteggiamenti neofobici in modo eccessivo e persistente, e in questo caso parliamo di Alimentazione Selettiva.
Con questo termine si intende il limitare l’alimentazione ad una gamma ristretta di cibi preferiti, rifiutandosi di mangiare altri cibi conosciuti o di assaggiarne di nuovi. Quando il genitore tenta di ampliare la gamma di cibi il bambino reagisce con ansia e disgusto e può manifestare conati di vomito, pianti e reazioni rabbiose.
La richiesta d’aiuto viene fatta dai genitori quando il fenomeno ha un impatto importante sul funzionamento sociale del bambino, in situazioni come cene o feste sia in famiglia che con la classe.
Nei casi più gravi si può arrivare a quello che nel DSM V è chiamato Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo.
Ma quali sono le cause dell’alimentazione selettiva?
Vari studi hanno messo in evidenza che i fattori possono essere diversi: genetici, familiari e ambientali. Un fattore genetico coinvolto è l’ipersensibilità sensoriale: il bambino è particolarmente infastidito da alcuni odori e sapori, e tende quindi a rifiutarli. I fattori familiari possono essere gli alti livelli di emozionalità negativa nel genitore e nel bambino, forti pressioni a mangiare, controllo genitoriale, apprendimento di stili alimentari scorretti. I fattori ambientali/sociali possono essere l’apprendimento di stili alimentari negativi dal gruppo dei pari e in generale dal contesto culturale in cui si vive.
L’alimentazione selettiva porta ai genitori un vissuto di frustrazione e preoccupazione, e si può entrare facilmente in un circolo vizioso. Ad esempio la preparazione e il consumo dei pasti può diventare un momento connotato da ansia ed emozionalità negativa, che va ad incidere sul piacere del bambino nel mangiare e che porta ad un rafforzamento delle problematiche. I genitori così possono arrivare a provare un senso di colpa e un senso di impotenza da cui può essere difficile uscire senza un aiuto specialistico.
Cosa si può fare per affrontare il problema?
In primis l’adulto dovrebbe evitare di usare il cibo come strumento di potere, quindi sono assolutamente sconsigliati e controproducenti:
- comportamenti intimidatori (es. se non mangi ti metto in punizione);
- interventi ricattatori (solo se finisci di mangiare tutto potrai uscire);
- ricatti al bambino sul piano emotivo (se non mangi mi rendi triste/se mangi mi fai felice);
- l’obbligo a mangiare.
È indicato invece:
- offrire un buon modello educativo: dovrebbero essere i genitori per primi a mangiare cibo vario e sano;
- offrire proposte diversificate nei colori, negli odori e nella consistenza;
- passare da un atteggiamento di pressione a mangiare ad uno propositivo (es. invitare ad assaggiare una cosa che può essere lasciata se non piace; invitare il bambino ad assaggiare per poi offrire un suo giudizio);
- cucinare insieme per prendere più familiarità con gli alimenti, far diventare la preparazione uno strumento di relazione col bambino e farlo sentire grande e importante;
- fare in modo che la preparazione e il consumo dei pasti sia connotato da un’emozionalità positiva;
- spegnere TV, tablet e computer e considerare il pasto come opportunità di condivisione e dialogo in famiglia su ciò che è stato fatto durante la giornata.
Che fare quando non si riesce ad uscire da questa situazione e si è preoccupati sia per la crescita del proprio figlio che per il suo stato emotivo?
Innanzitutto è bene richiedere delle indagini mediche per escludere che ci siano problematiche organiche come allergie, celiachia, intolleranze. Si dovrebbe anche escludere che l’alimentazione selettiva faccia parte di un quadro più ampio di ipersensibilità sensoriale legata ad un problema di neurosviluppo (come ad esempio un disturbo dello spettro autistico).
È necessario capire se alla base ci sono delle cause psicologiche. Il comportamento alimentare errato del bambino non va eliminato o combattuto, ma considerato come una cosa da comprendere. Solo attraverso questo passaggio può esserci una vera risoluzione del problema. L’alimentazione selettiva potrebbe nascondere una difficoltà evolutiva del bambino o una sofferenza che non riesce a comunicare a parole ma sono tramite questo tipo di azione. Per decodificare il messaggio del bambino, così come per capire se si è in presenza di una vera e propria psicopatologia del comportamento alimentare, è necessaria una consulenza psicologica.
Bibliografia
American Psychiatric Association, (2013) Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (V edizione), Raffaello Cortina Editore, Milano.
Harris G., Naish K.R. (2012), Food intake is influenced by sensory sensitivity, PLoS ONE, 7 (8).
Scaglioni S. et al. (2011), Determinants of children’s eating behaviour, The American Journal of Clinical Nutrition, 94.
Salve mio figlio mangia ancora come un bimbo di un anno che invece ne tiene 10 le uniche cose che mangia dei grandi sono il pane , le graffette e la pizza ma senza niente sopra solo l’impasto !! Non do come devo fare grazie
Buongiorno Veronica,
Bisognerebbe valutare accuratamente come si presenta l’alimentazione selettiva di suo figlio, in quali situazioni, da quanto tempo e capire le cause.
Le consiglio di effettuare sia delle analisi mediche consigliate dal pediatra (se non le ha già fatte) per capire eventuali cause organiche, ed effettuare una valutazione psicologica per comprendere cause ed implicazioni psicologiche del problema alimentare di suo figlio. Una buona valutazione psicologica dovrebbe coinvolgere anche voi genitori.
Se mi fa sapere in che città vive potrei vedere se conosco un professionista d consigliarle. Mi può chiamare al 3283451863.
Cordiali saluti.