
“Rebirth” – Duy Huynh
La depressione si manifesta con una tristezza invincibile, la mancanza di energie, l’incapacità di godere dei piaceri della vita, pensieri negativi e pessimistici relativi a se stessi e al proprio futuro; molto spesso si presentano anche l’alterazione del ritmo sonno-veglia e problematiche alimentari. La persona depressa si sente molto spesso in colpa: si parla infatti di rabbia rivolta verso di sé anziché verso le altre persone, ed è talvolta molto sensibile rispetto al male e all’ingiustizia.
La depressione si differenzia dalla profonda tristezza che segue un evento luttuoso (Freud, 1917): in quest’ultimo caso si percepisce il mondo esterno impoverito di un aspetto importante (la persona cara), mentre nella depressione ciò che si sente perduto o danneggiato è una parte del Sé.
Secondo alcuni studi la disposizione alla depressione è ereditaria; tuttavia è difficile stabilire con certezza in che misura sia geneticamente determinata e quanto influenzata da fattori ambientali (stress, traumi, traumi precoci). Attualmente i dati disponibili suggeriscono che la depressione sia una combinazione multifattoriale di vari fattori: genetici, biologici, ambientali e psicologici. In questo articolo mi soffermo su questi ultimi.
Quali sono, dunque, i vissuti infantili che possono favorire la depressione in età adulta?
- Una perdita precoce e/o ripetuta
È il caso delle persone che hanno vissuto esperienze molto dolorose e precoci di perdita o separazione da un oggetto d’amore. Questa perdita non è sempre una persona reale, come ad esempio la morte o la separazione da un genitore; si può trattare anche di una “perdita psicologica”, come ad esempio la rinuncia a comportamenti di dipendenza dal genitore nelle prime fasi di vita, per spinta del genitore stesso. Mi viene in mente una paziente depressa che ha subìto entrambe le perdite: quella del padre, che non l’ha mai riconosciuta come figlia e l’ha abbandonata “realmente”; quella della madre che non ha mai accolto i suoi bisogni di protezione, dipendenza e affetto, arrivando ad allontanarla da lei, fino a svalutarla e umiliarla.
- La presenza di un “altro dominante”
Si tratta di un’ideologia persistente, il vivere non per se stessi ma per un’altra persona o cosa. Spesso è il partner ad essere l’ “altro dominante”, ma anche un’organizzazione o un ideale possono assolvere tale funzione, un obiettivo o una finalità superiore (Arieti, 1977). Mi viene in mente un paziente che viveva con lo scopo di raggiungere l’ideale rappresentato dal padre, uomo molto stimato e di successo. Ideale molto difficile per lui da raggiungere e su cui provava anche una certa ambivalenza. È difficile per una persona così immaginare un futuro alternativo, il poter essere un’altra persona, più autentica e rispettosa dei suoi reali desideri, rinunciando a questo obiettivo dominante. Si arriva a credere che la vita non abbia valore se non si raggiunge questo obiettivo.
- Un’atmosfera familiare infantile in cui si scoraggiava la sofferenza
Un’atmosfera familiare in cui si scoraggia la sofferenza è potenzialmente dannosa: la negazione della tristezza e il bisogno che il bambino rassicuri i genitori di star bene fanno in modo che non si possa elaborare adeguatamente il dolore, e i bambini percepiscono che c’è qualcosa di sbagliato in loro. Inoltre, in alcune famiglie può passare addirittura il messaggio che provare tristezza sia segno di debolezza o un atteggiamento egoistico.
- Convivere con un genitore depresso
Questo produce talvolta nel bambino il prendersi carico della situazione: egli può iniziare a pensare che per merito suo il genitore potrebbe stare meglio. È il caso di alcuni bambini “perfetti”: con ottimi voti a scuola, brillanti nello sport e nell’apprendimento di uno strumento musicale, collaborativi in casa. Bambini che, in altre parole, si prendono carico del benessere del genitore o di tutta la famiglia. A volte anche questi tentativi falliscono, e al bambino non resta che un senso di impotenza o senso di colpa per non essere riuscito a migliorare la situazione. Tutto questo il bambino se lo porterà dietro anche nella vita adulta.
- La noncuranza dei bisogni del bambino
Un altro fattore che favorisce la depressione è la noncuranza per i bisogni dei bambini, genitori troppo oberati di impegni, non presenti in casa o, se presenti, non attenti ai bisogni dei figli. È il caso, molto frequente nella vita odierna, dei bambini lasciati negli asili per la maggior parte del giorno, carichi di impegni pomeridiani, o che passano la maggior parte del tempo con altre figure (tate, babysitter): comportamenti che talvolta nascondono l’incapacità da parte dei genitori di passare del tempo col proprio figlio, e che fanno sentire un bambino non amato.
- Un atteggiamento ipercritico da parte delle figure di attaccamento
La cosiddetta depressione introiettiva (Blatt, 1998) è quella caratterizzata da sentimenti di inutilità, fallimento, inferiorità e colpa. Queste persone sono particolarmente autocritiche e soffrono per l’eventuale disapprovazione degli altri. Reagiscono a questi sentimenti cercando di essere perfezionisti e competitivi, e sono spinti a raggiungere risultati ottimali nello studio e nel lavoro.
Questi sono alcuni dei motivi che possono potenzialmente portare ad una depressione in età adulta. Ogni individuo è diverso dall’altro, con una sua storia unica e irripetibile; di conseguenza anche il lavoro psicoterapeutico sarà calibrato in base al singolo individuo, partendo inevitabilmente dalla comprensione della sua storia e del suo vissuto.
Maria Grazia Flore – Psicologa Psicoterapeuta
Bibliografia
Arieti S. (1977), Psychotherapy of severe depression, American Journal of Psychiatry, 134, 864-868.
Blatt S.J. (1998), Contributions of psychoanalysis to the understanding and tratment of depression, Journal of American Psychoanalitical Association, 46, 723-752.
Freud S. (1917), Lutto e Melanconia, Opere, vol.8, Boringhieri, Torino.
Gabbard G.O. (2002), Psichiatria Psicodinamica – terza edizione, Raffaello Cortina Editore, Milano.
McWilliams N. (1999), La Diagnosi Psicoanalitica, Astrolabio, Roma.