0-3 anni: dalla dipendenza verso la conquista dell’indipendenza

bambino indipendenteDalla nascita, per tutta la crescita, benché il bambino ami tantissimo la madre e tutta la sua famiglia, deve necessariamente passare da una dipendenza totale ad un’indipendenza, che è sopratutto un’indipendenza psicologica. Nei primi tre anni di vita si pongono le basi per uno sviluppo sano dell’autonomia. Non è una cosa che il bambino raggiunge da solo, ma è un processo in cui il bambino agisce in relazione alla madre e al padre, un processo in cui i movimenti, i progressi del bambino sono interconnessi e interdipendenti a quelli dei suoi genitori.

Sono tante le fasi che comportano delle piccole separazioni: la nascita stessa è un passaggio da uno stato fusionale ad uno stato di sepratezza dei corpi della madre e del  figlio; ugualmente lo svezzamento, in cui il bambino passa da un’alimentarsi al seno della madre, stretto al suo corpo, ad un’altra forma di alimentazione. Con l’entrata all’asilo il bambino deve essere capace di tenere nella mente la figura genitoriale e riuscire a stare con altre persone. Anche l’atto di iniziare a camminare, mangiare da solo, potersi prendere gli oggetti che gli interessano sono piccoli step che vanno nella direzione di un’autonomia sempre maggiore: il piccolo non è più dipendente da un’altra persona per spostarsi e  prendere qualcosa che gli piace.

Molti sono stati gli autori che hanno studiato lo sviluppo psichico nelle prime fasi di vita: Freud, Melanie Klein, Margaret Mahler; in questo contesto è particolarmente utile il contributo di Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista. Egli ha distinto tre fasi: la dipendenza assoluta, la dipendenza relativa e il cammino verso l’indipendenza.

Nella dipendenza assoluta dei primi mesi il bambino non ha neanche consapevolezza delle provvidenza materne e si sente un tutt’uno con lei; la madre è completamente dedita alla sua cura, si identifica molto con lui e riesce a capire cosa egli sente. Col passare dei mesi la madre però si riprende gradualmente la sua indipendenza, i suoi spazi; a questo consegue la collera del bambino, che non ottiene gratificazione a tutte le sue richieste. In questa fase è bene dare al neonato la possibilità di esprimere questa aggressività e tollerarla, in modo che poi riesca ad integrarla con l’amore.

Si entra così via via nella fase di dipendenza relativa, in cui il bambino si rende conto delle cure che i genitori gli forniscono e comincia a essere consapevole della dipendenza. “Quando la madre resta lontana per un tempo superiore a quello durante il quale il bambino è capace di continuare a credere nella sua sopravvivenza compare l’ansia, e questo è il primo segno che il bambino sa. (…) Egli inzia a sapere che la madre è necessaria”. Questa fase, prosegue Winnicott, dura dai sei mesi circa fino ai due anni. Quando il bambino ha superato i due anni hanno inizio nuovi sviluppi che gli forniscono i mezzi per affrontare l’allontanamento sereno dalla madre.

La terza fase è quella che Winnicott chiama “il cammino verso l’indipendenza”. “Me” e “non me” sono ben distinti, il bambino si sente un’unità, ha una vita interiore che sente separata da quella esterna. Il bambino diventa capace pian piano di affrontare il mondo e le sue complessità, cosa che si completerà nell’età adulta.

sicurezza nell'esplorazione del mondo

Nel secondo e terzo anno di vita dunque i genitori dovrebbero trasformare i loro atteggiamenti; da totalmente oblativi e protettivi  dovrebbero iniziare a dare spazi e regole. Naturalmente ogni tanto il bambino avrà bisogno di “regredire”, di essere coccolato e sentirsi vicino come nelle prime fasi di vita. I genitori comprenderanno che il ruolo di protettori assoluti ha iniziato una parabola discendente e che la figura genitoriale dovrà essere per lo più una figura guidante, dato che un rapporto esclusivo troppo prolungato finirebbe per danneggiare il bambino.

In questa fase così delicata sono grosso modo tre le eventualità in cui questo passaggio avvenga in forma problematica:

– quando avviene in forma non graduale: da parte della figura d’attaccamento c’è un’accentuazione delle richieste o un’anticipazione (ad es. lo svezzamento improvviso o il passaggio non graduale ad un’altra figura di accudimento); oppure quando al bambino vengono poste richieste che vanno al di là delle sue possibilità;

– la seconda eventualità è che i genitori continuino a portare avanti le modalità delle prime fasi di vita perché troppo ansiosi, preoccupati, iperprotettivi, o perché non si vuole rinunciare alla relazione simbiotica; il bambino in questo caso si sente oppresso da una protezione eccessiva; anche quando potrebbe fare da solo è sempre il genitore a mediare con l’esterno;

– la terza eventualità è che i suoi bisogni non vengano compresi e che il bambino venga trascurato (in questo caso può accadere ad esempio che i genitori trovino inaccettabili gli atteggiamenti oppositivi della fase dei “no” e che puniscano il bambino).

In generale si dovrebbero evitare quindi richieste eccessive, iperprotezione e trascuratezza. Per fare degli esempi pratici si dovrebbe evitare, ad esempio, che il bambino passi il tempo esclusivamente con un solo genitore, che le figure di accudimento facciano le cose al posto suo o che rispondano per lui, che non gli diano la possibilità di esplorare e giocare da solo, che non tollerino il loro egocentrismo e il loro essere “dispettosi” e oppositivi.

Dai due ai tre anni insomma (e naturalmente, anche oltre) i genitori dovrebbero essere capaci di sostenere e sollecitare i progressi del bambino verso l’autonomia e la costruzione di una propria identità.

Nel caso in cui i genitori trovassero difficoltà l’atteggiamento più utile sarebbe quello di chiedersi il perché stanno agendo determinati comportamenti: quale parte di noi stiamo mettendo nel bambino?

Bibliografia

Oliverio Ferraris A., Oliverio A. (2002), Fondamenti di Psicologia dello Sviluppo, Zanichelli, Bologna.

Oliverio Ferraris A. (1992), Crescere. Genitori e figli di fronte al cambiamento, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Winnicott D. W. (1968), La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando Editore, Roma.

Winnicott D. W. (1974), Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, Armando Editore, Roma.

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