Negazione e controllo nella dipendenza affettiva

LaDipendenza affettiva dipendenza affettiva è una condizione mentale in cui le persone sono dipendenti dalla sensazione di essere innamorate. Più che la gioia della condivisione c’è la paura del distacco, la sofferenza se l’altro non c’è; per il terrore dell’abbandono si fa qualsiasi cosa per impedire che la relazione finisca. L’oggetto “amato” è una persona che fa soffrire, che chiede tanto e

non da nulla. Inoltre, si è disposti ad assumersi quasi tutte le responsabilità e le colpe quando le cose vanno male. Nel profondo si è convinti di non meritare di essere felici, ma di doverlo guadagnare con tanti sacrifici.

Questo, quando lo si riconosce, costa molto caro: rabbia, rancore, frustrazione e dolore sono solo alcune delle emozioni devastanti che vive una persona dipendente da qualcuno che non dà l’amore che si vorrebbe.

Potrebbe essere capitato a chiunque di affannarsi in una relazione di questo tipo, da cui si è fatta tanta fatica a liberarsi. Ma qui si parla di persone che si ritrovano a vivere questo tipo di relazione in modo ciclico, ricorrente. Per alcune è probabilmente l’unico modo di entrare in relazione che conoscono.

Come tutte le altre dipendenze, anche quella affettiva permette di sentirsi vivi grazie ad un oggetto; nelle altre dipendenze quest’oggetto è l’alcol, il gioco d’azzardo, le sostanze stupefacenti; in questo caso è la persona che si sostiene di amare. Grazie a questa persona si sente di avere uno scopo, un senso, e stima per se stessi. Chi soffre di dipendenza affettiva è guidato dalla fantasia che il loro oggetto d’amore li completi. Come nelle altre dipendenze si cerca inizialmente di soddisfare un bisogno emotivo conosciuto o sconosciuto, si passa per una fase di euforia ed eccitamento all’inizio della relazione, e poi si diventa dipendenti dalla situazione inebriante dell’essere innamorati. Man mano che il tempo passa l’incapacità di ottenere la soddisfazione desiderata  aumenta la dipendenza stessa.

Ciò che vive una persona in questa situazione non è da sottovalutare: la sensazione di non esistere se non attraverso la persona “amata”; lo stare perennemente in attesa di una sua dimostrazione d’attenzione; la sensazione di abbandono e di vuoto, come se si strappasse una parte di sé, quando si cerca di interrompere la relazione. E questo nonostante il perenne malessere che fa vivere questo tipo di relazione.

Per capire la dipendenza affettiva bisogna prima capire il concetto di co-dipendenza, scoperto da Johnson nell’ambito degli Alcolisti Anonimi. E’ definita come “una condizione multidimensionale manifestata da ogni disfunzione o sofferenza, associata con o dovuta a una focalizzazione su bisogni o comportamenti altrui”. La scoperta nasce dall’osservazione che nelle coppie formate da un alcolista e dal suo partner, quest’ultimo spesso presenta inconsciamente aspetti di morboso accentramento intorno alle problematiche dell’altro, da cui deriva il mantenimento dello stato patologico dell’alcolista.

Il fatto che questa scoperta sia stata fatta nell’ambito dell’alcolismo non deve però confondere: non sono solo i partner di persone alcoliste a comportarsi così, ma tutti i partner che nella relazione si concentrano ad aiutare l’altro, annullando i propri bisogni. Può quindi accadere con un partner in una qualsiasi situazione problematica.

Ma quali meccanismi entrano in ballo in queste relazioni disfunzionali, quando ci si sta dentro senza avere la capacità di avere uno sguardo “lucido”, consapevole, della situazione?

Vediamo come due aspetti fondamentali siano la negazione e il controllo.

Il meccanismo della negazione è particolarmente utile per ignorare la verità che non vogliamo prendere in considerazione. E’ il rifiuto di riconoscere la realtà a due livelli: a livello di quello che accade effettivamente, e a livello dei sentimenti. Si nega sia la realtà che le proprie emedvard-munch-il-bacio_15ozioni negative, creando una fantasia che può rendere la vita più facile. Con la pratica si diventa molto abili nel costruire inconsciamente questo tipo di difesa contro il dolore, ma nello stesso tempo si perde la capacità di fare delle scelte. Talvolta può essere vitale il non riconoscere la vergogna, la rabbia, il senso di abbandono, il disgusto, il risentimento, la disperazione. Diventa vitale il non sentire niente.

Il meccanismo del controllo è particolarmente difficile da “vedere” per chi sta dentro questo tipo di relazione, perché si deve riconoscere che l’aiuto non ha motivazioni solo altruistiche; i comportamenti apparentemente disinteressati, l’”essere buoni” e le offerte d’aiuto in realtà possono essere tentativi di controllare la situazione. Come spiega la Norwood, “quando facciamo per un altro quello che potrebbe fare da sé, quando progettiamo il futuro di un’altra persona, quando incitiamo, consigliamo o cerchiamo di convincere un’altra persona che non sia un bambino piccolo, quando non riusciamo a sopportare che affronti le conseguenze delle sue azioni e così cerchiamo di cambiare il suo modo di agire o di annullare le conseguenze, significa che stiamo controllando quella persona”. Il controllo, camuffato da aiuto, serve ad ignorare il bisogno di superiorità e potere implicito in questo tipo di relazione.

C’è anche un altro livello del controllo. Cercando di essere partner migliori, si cerca anche di vincere antiche battaglie perse nell’infanzia. Se da bambini si è cresciuti in un ambiente povero di attenzioni, di cure e d’amore, o trascurati per qualsiasi motivo, ce la si mette tutta per cambiare la situazione, ma senza ottenere risultati. Per questo si cerca, inconsciamente, di ricoprire questo ruolo anche nelle relazioni di coppia una volta adulti: si tenta ancora una volta di controllare la situazione essendo buoni, nella speranza sta volta di “vincere la battaglia” e avere quelle attenzioni mai ricevute. Dicendo che la colpa è nostra e che dobbiamo impegnarci per avere quelle attenzioni che vogliamo, in realtà stiamo dicendo che abbiamo la possibilità di controllare la situazione e porre fine alla sofferenza.

Insomma, quando le esperienze infantili sono state particolarmente penose, spesso si ha una coazione inconscia a ricreare situazioni simili spinte dall’urgenza di riuscire a dominarle.

Tuttavia così non avviene.

Ci sono varie ipotesi sulle cause della dipendenza affettiva, che non si escludono l’una con l’altra.

Nelle persone che si sono sottoposte a un trattamento psicoterapeutico si mette in evidenza, in età infantile, un’esposizione nell’ambiente familiare a regole oppressive che sono state in grado di coartare un’aperta espressione dei sentimenti. Tale osservazione si avvicina alla teoria del “Falso Sè” di Winnicott, intorno alla quale ruota la maggior parte delle concettualizzazioni nell’area della dipendenza affettiva. Nella stessa direzione si muove la teoria della “malattia del Sé perduto” di Whitfield, secondo cui queste persone tendono a trascurare i propri bisogni e desideri e, nella negazione di essi, a mettere da parte, più in generale, se stessi.  Simile a questa è la cosiddetta “sindrome del bambino adulto” di Friel, in cui si verificano: 1) blocco nello sviluppo dell’identità personale, 2) iperreattività al mondo esterno, alle cui esigenze ci si conforma ansiosamente e indiscriminatamente per mantenere un adeguato livello di autostima e, 3) iporeattività al mondo interno, per l’appunto trascurato e disatteso, per certi versi negato e quindi coartato.

Che fare se si riconosce che l’ossessione per queste relazioni porta a dei circoli viziosi?

Intanto alla base ci dev’essere un riconoscimento del proprio malessere e una richiesta d’aiuto specialistico e/o di gruppi d’autoaiuto. Man mano si affronteranno le problematiche alla base e ci si concentrerà sempre più su sé stessi, affrontando anche le paure del cambiamento. L’autostima e l’assertività miglioreranno e parallelamente diminuirà il bisogno di controllare gli altri. Si imparerà a non lasciarsi invischiare nei giochi di relazione.

Una persona che mette in atto questo tipo di percorso sarà capace di accettare pienamente sé stessa e gli altri per come sono, senza cercare di cambiarli; sarà aperta e fiduciosa con chi lo merita e non avrà paura di farsi conoscere a un livello personale profondo; sarà capace di lasciar perdere una relazione distruttiva senza sprofondare nella depressione e apprezzerà più di ogni altra cosa la sua serenità.

Bibliografia

Cermak T.L. (1986), Diagnosing and Treating Co-dependence: A Guide for Professionals, Johnson Institute Books, Minneapolis, MN

Friel J.C., Friel L.D. (1988), Adult Children: the Secrets of Dysfunctional Families, Deerfield Beach, FL, Health Communications.

Janiri L., De Risio S., Dipendenza affettiva e spettro impulsivo-compulsivo, da www.psychomedia.it

Norwood R., (1985), Donne che amano troppo, Feltrinelli, Milano.

Shaeffer B. (2009), Is it love or is it addiction? The book that changed the way we think about romance and intimacy, Hazelden Publishing, Center City Minnesota.

Subby R. (1987), Lost in the Shuffle: the Co-dependent Reality. Deerfield Beach, FL, Health Communications.

Whitfield C.L., (1997),  Co-dependence, addictions, and related disorders, in: JH Lowinson, P Ruiz, RB Millman, JG Langrod (eds), Substance Abuse – A Comprehensive Textbook, 3rd ed. Baltimore, Williams & Wilkins.

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