La violenza domestica è un tema di grande attualità. Nel corso degli ultimi anni c’è stato un crescente interesse mediatico e politico rispetto a questo tema, anche grazie alla rete di Associazioni, Cooperative e professionisti di vario genere che da decenni cercano di far emergere il sommerso e fare in modo che le istituzioni prendano provvedimenti per la prevenzione del fenomeno.
Ma siamo veramente sicuri di sapere cosa sia esattamente la violenza domestica e i danni che può provocare?
Partiamo intanto con la definizione di IPV (Intimate Partner Violence) data dall’OMS nel suo rapporto del 2010: “Il comportamento all’interno di una relazione intima che causa un danno fisico, sessuale o psicologico, compresi atti di aggressione fisica, coercizione sessuale, abusi psicologici e comportamenti di controllo”. Con l’espressione “violenza domestica” non ci si riferisce quindi solo alle violenze fisiche e sessuali, ma anche ad altre forme più sottili, meno eclatanti, ma altrettanto dannose: la violenza psicologica e quella economica. Con la prima si intende una serie di atteggiamenti intimidatori, minacciosi e denigratori; con la seconda una serie di atteggiamenti volti a impedire che la partner diventi o possa diventare economicamente indipendente, al fine di poter esercitare su di lei un controllo indiretto ma molto efficace.
Diversi studi condotti su donne vittime di violenza hanno indicato gli effetti primari, che sarebbero conseguenze delle violenze fisiche dirette sul corpo, e gli effetti secondari riguardanti la funzionalità fisica, lo stato psicologico, l’adozione di comportamenti a rischio o di dipendenza per l’esposizione ripetuta a situazioni di impatto traumatico.
Ciò su cui mi vorrei concentrare in questo articolo, che è l’aspetto rilevante nel mio lavoro, sono le conseguenze psicologiche della violenza. Questo scritto non vuole essere un elenco noioso e pesante di ricerche, ma mi sembra fondamentale dimostrare con fonti attendibili la gravità delle conseguenze della violenza subita, che ancora oggi vengono da molti sottostimate.
In primis, la condizione di violenza vissuta nell’ambito delle relazioni affettive significative determina perdita o riduzione della stima di sè. Inizialmente si percepisce un forte senso di impotenza, che viene successivamente negato per essere sostituito con un meccanismo di onnipotenza, che rappresenta il tentativo di ristabilire il controllo della situazione. Tuttavia la violenza si ripete ciclicamente e questo porta la donna a sperimentare un forte senso di colpa, perché si attribuisce sia le responsabilità di ciò che accade a lei, nonché di ciò che devono subire i figli. Tutta questa particolare condizione di fragilità porta ad una difficoltà persistente ad occuparsi di sè, e la espone a conseguenze psicologiche più gravi.
Ricerche effettuate sia nel contesto italiano che in contesti esteri indicano che a medio e lungo termine, la conseguenza più frequente è la depressione: gli studi mostrano che le donne maltrattate dal partner hanno un rischio di depressione 4/5 volte maggiore rispetto alle altre donne . In uno studio sulle pazienti dei Medici di Medicina Generale in provincia di Belluno, il 44% delle donne vittime di violenza soffriva di un disturbo depressivo, contro l’11% delle donne non maltrattate, e anche il consumo di psicofarmaci risultava quadriplicato.
Una mole considerevole di ricerche ha dimostrato che le donne che subiscono abusi da parte del partner hanno un elevato rischio di sviluppare disturbo post-traumatico da stress (PTSD) che varia dal 45% all’84%. La gravità della violenza risulta significativamente e positivamente correlata con l’intensità dei sintomi di PTSD. Rilevante è anche la forte associazione positiva tra disturbo post-traumatico da stress e ogni diversa forma di violenza domestica emersa dall’analisi di correlazione in uno studio di Pico-Alfonso: la componente psicologica di violenza domestica è risultata essere quella più predisponente al PTSD.
Anche altri disturbi d’ansia sono spesso associati ad una storia di IPV. Una ricerca condotta in Australia, che ha preso in considerazione ben 16 studi sull’argomento effettuati in vari paesi, in tutti ha riscontrato correlazione tra una storia di violenza domestica e un aumento dei livelli d’ansia. Altri studi hanno evidenziato come i sintomi di ansia siano più gravi quanto più gli abusi siano stati frequenti, intensi e gravi.
Un’altra conseguenza è il suicidio e l’ideazione suicidaria. E’ stata condotta una ricerca tra il 2000 e il 2003 su 20.967 donne in Brasile , Etiopia , Giappone , Namibia , Perù , Samoa , Serbia , Tailandia e Tanzania; è stato riscontrato che tra i fattori di rischio più consistenti ci siano la violenza domestica e l’aver avuto una madre che subiva violenza domestica. Inoltre da uno studio francese (Ricerca Enveff, 2002) effettuato su un campione di 7000 donne, è emerso che il rischio di un tentativo di suicidio aumenta di 19 volte nei mesi successivi un’aggressione fisica e di 26 volte in seguito a una violenza sessuale. In particolare, una stretta correlazione tra violenza domestica e suicidio è stata sottolineata da diversi studi condotti in Bangladesh, India, Isole Figi, Papuasia, Nuova Guinea, Perù, Sri Lanka e Stati Uniti. I dati emersi evidenziano come una donna che ha subito gravi abusi abbia 12 volte più probabilità di tentare il suicidio rispetto ad una che non ha subito violenze.
Può sembrare assurdo, ma anche le donne in gravidanza subiscono violenza dai partner. L’esperienza nei centri antiviolenza mi ha mostrato varie volte, che talvolta la violenza fisica inizia o si incrementa proprio quando la donna resta incinta. Una spiegazione che viene data a questo comportamento è che l’uomo farebbe leva sulla condizione di maggiore vulnerabilità e dipendenza in cui si trova la donna in gravidanza, dipendenza sia economica che da una (speranza di) relazione intima, per dare al proprio figlio una famiglia e una vita “normale”. Le donne in gravidanza che subiscono violenza domestica sono più esposte rispetto alle altre al rischio di sviluppare una psicopatologia. Secondo uno studio condotto in India, sintomi depressivi, disturbi somatici e sintomi di PTSD sono più alti nelle donne gravide che avevano riportato una storia di IPV e violenza sessuale rispetto alle donne non abusate. La violenza domestica, inoltre, secondo uno studio effettuato in Canada, risulta essere positivamente correlata con la depressione postpartum.
Oltre a queste gravi problematiche, nelle donne vittime di IPV disturbi del sonno e dell’alimentazione (41,5%), difficoltà di concentrazione (24,3%), difficoltà a gestire i propri figli (14,3%). La presenza di queste conseguenze è maggiore per le vittime che subiscono sia violenza fisica che violenza sessuale.
Un altro aspetto rilevante che è emerso in letteratura è che i deficit nella salute mentale di donne che sono state vittime di violenza tendono a perdurare per diversi anni. La coincidenza di risultati tra metodi diversi è a favore della tesi per cui una storia di violenza domestica preannunci dei bassi indici di salute mentale che possono persistere anche una volta che la violenza finisce. E non dimentichiamo che la salute mentale inevitabilmente va ad influenzare quella fisica.
Tutto questo indica quanto sia traumatico e destabilizzante subire violenza, sopratutto per un periodo prolungato. E indica anche quanto sia fondamentale intraprendere un percorso di elaborazione degli eventi e delle emozioni ad essi connessi, in modo da recuperare il benessere. Intraprendendo un percorso che aiuti a comprendere le dinamiche mentali, spesso inconsce, che sono state messe in atto, si potrà avere una ri-lettura degli eventi, una consapevolezza maggiore, in modo da riprendere un controllo sulla propria vita.
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